A Monfalcone, alcuni giorni fa, una cittadina eletta nel comitato del quartiere centro non riusciva a raggiungere la sede della riunione perché il percorso, nel cuore della città, era chiuso da cancelli e sbarramenti voluti dall’amministrazione comunale.
Sempre a Monfalcone, alcuni anni fa, dei ragazzi, figli di immigrati, che volevano partecipare alla festa dello sport con la loro squadra di cricket, sono stati allontanati in malo modo.
A Monfalcone se sei un operaio e, nel poco tempo che ti resta per la pausa pranzo, entri in un alimentari o in bar con la tuta da lavoro, rischi una multa.
A Monfalcone a un’orchestra è stato consigliato di non fare suonare un musicista noto per le idee politiche diverse da chi comanda. A Monfalcone si decide di buttare via oltre cinque milioni di euro per piantare un vecchio palo o un vecchio lampione in piazza. A Monfalcone, unico luogo in Europa, si decide di tornare a bruciare carbone nella centrale accanto alle abitazioni.
L’elenco degli sprechi, errori e bizzarrie potrebbe continuare all’infinito. Esso non risponde solo alla logica di chi, chiaramente, sa ben poco amministrare, ma soprattutto di chi immagina che amministrare una città non sia pensare al suo futuro, non sia programmare la crescita e lo sviluppo, attrezzarla per le sfide future, ma chiudersi nel passato, guardare indietro e sbattere contro i tanti problemi che non si sanno affrontare.
Prendiamo le promesse fatte da chi sta oggi in municipio all’atto dell’insediamento ormai più di cinque anni fa: un cumulo di chiacchiere infinite. Se pensiamo alle opere pubbliche siamo al buio pesto. Il Municipio finito di ristrutturare grazie a “quelli di prima”, nessuna altra opera attivata e quel poco fatto, come i lavori dalle parti del porticciolo o la pista ciclabile, sembrano un fallimento prima ancora di essere finiti.
Insomma, sempre più traffico, più inquinamento, meno attenzione ai quartieri, soldi buttati per rianimare vestigia di un passato immaginario, nessuna attenzione alla cultura, alla scuola, ai giovani, Monfalcone è la città che cammina all’indietro: il luogo che pensa al passato e non al futuro.
Pensiamo al lavoro, tratto caratterizzante della nostra storia: siamo alla promozione continua del precariato e dell’insicurezza. Non c’è settimana che non veda un incidente sul lavoro, una cosa oscena che dovrebbe essere relegata tra le brutture del passato. Negli ultimi anni Fincantieri ha continuato in modo esasperante a ricorrere all’appalto e all’esternalizzazione. Non c’è un solo posto di lavoro che l’azienda offra ai nostri concittadini, non c’è una sola iniziativa concreta che sia stata fatta per intervenire sulla pressione sociale e ambientale che l’azienda impone alla città. Ricordate l’inizio del mandato? Quando la sindaca si esibiva in “pugni sul tavolo” di qua e di là. Risultati? Nessuno, forse le faranno solo male le mani.
Bene, davanti a questo quadro i monfalconesi possono farsi una semplice domanda: questa città sta meglio di cinque anni fa? Qualche problema è stato risolto? C’è un progetto per la Monfalcone dei prossimi decenni? No. C’è un solo progetto nella testa di chi ci amministra: tornare a comandare per i prossimi cinque anni, magari in attesa del grande salto in parlamento o in regione.
Bisogna, quindi, invertire questo processo. Bisogna che chi governerà la città pensi al suo futuro, all’ambiente, al lavoro, e alle giovani generazioni.
Vanno fatti investimenti sulla scuola, nei servizi per l’istruzione, a tutte le età, invece di buttare i soldi dalla finestra su improbabili piazze, si deve investire nella sicurezza degli edifici scolastici.
Sul tema del lavoro si deve fare di Monfalcone un progetto nazionale, dove la grande azienda, e Fincantieri è di proprietà pubblica, investe sul territorio sulla formazione professionale e sulla sicurezza sul lavoro. Se noi vinceremo le elezioni sarà questo il mio primo atto: chiedere al governo nazionale di fare di Monfalcone il fulcro di un nuovo modo di intendere i rapporti tra l’industria e il territorio.
Porto, consorzio industriale non si dirigono più a Monfalcone: il primo sta diventando una succursale dello scalo triestino, il secondo appaltato agli interessi goriziani. Noi vogliamo che il destino delle nostre strutture economiche sia deciso qui. Pensiamo a una città che si rapporta con i comuni intorno e con tutta la Regione, che collabora. In pochi anni questa giunta ha litigato con tutti, specie con i comuni vicini. Un atteggiamento incomprensibile e controproducente. Vogliamo cambiare. Oggi vince e si sviluppa chi fa gioco di squadra, chi collabora in ogni campo.
Prima ancora delle persone e dei partiti, questa primavera i monfalconesi sono chiamati a scegliere tra passato e futuro, tra paura e speranza, tra una città chiusa in sé stessa e rancorosa e una città aperta, gentile e viva.
Ci sono in città molte persone che vogliono dare un contributo: le nostre porte sono aperte.
Costruiamo insieme una città migliore, una città di tutti.