Siamo arrivati all’ultima settimana di campagna elettorale ma già si può fare un bilancio. Non un bilancio elettorale, quello lo faranno gli elettori, ma politico e culturale, perché abbiamo visto in questo mese e mezzo due modi radicalmente diversi di rapportarsi alle persone, di gestire la cosa pubblica, di proporsi come amministratori del bene comune.
Anche un osservatore distratto sta vedendo come le due candidate si approcciano agli elettori, a coloro ai quali stanno chiedendo il voto per amministrarne la città in modo molto diverso che segna la loro idea di politica e di amministrazione: da una parte c’è chi ascolta, si muove tra la gente, anche nelle periferie e nei luoghi troppo spesso dimenticati della città, dall’altra una sindaca che, chiusa tra l’ufficio del municipio, e il suo fortino nella sempre più sgangherata piazza centrale, sta da sola a comandare, inveire e imbonire.
C’è soprattutto una cosa che appare assolutamente assurda nella campagna della sindaca uscente: l’improvvisa creatività nella proposta di progetti e idee per problemi che si era impegnata a risolvere cinque anni fa e che, negli anni di sua amministrazione, non è riuscita nemmeno ad intaccare. È una cosa grottesca: chi ha governato per oltre un lustro dovrebbe raccontare ciò che ha fatto e non riproporre le stesse cose. Del resto, è comprensibile che non avendo fatto quasi nulla si debba rifugiare nelle promesse, cercando di evitare in ogni modo un confronto chiaro sulle opere realizzate.
“Evitare” è la parola giusta per descrivere la campagna della sindaca uscente. Un faticoso slalom per evitare i guai. Alcuni giorni fa, al dibattito organizzato da Telefriuli per i candidati sindaco, lei, così presenzialista se c’è da glorificarsi, non si è fatta vedere. Un fantasma. Forse qualcuno le avrà consigliato di evitare. E non è l’unico dibattito al quale ha dato forfait.
Poi si sa che i guai arrivano lo stesso, magari in forma di giornalista televisivo, e lì sottrarsi diventa incredibilmente difficile, a telecamera accesa. Ma questa è un’altra storia.
Non credo vi sarà sfuggita un’altra cosa: ci sono due campagne elettorali parallele, quella del centrosinistra fatta di diverse donne e altrettanti uomini che cercano di rendere migliore questa città, si alternano al microfono, propongono idee e contenuti dentro una visione comune di città del futuro; e poi c’è la destra, fatta da una donna sola al comando.
Parla solo lei, comanda solo lei, gli altri, candidati, consiglieri, assessori, sono solo delle comparse buone a dire sissignora. Accanto alla one-woman-show al massimo sono accettati solo i big della politica nazionale, preferibilmente leghisti, che sfilano a Monfalcone, dal capitano in giù, proponendo una narrazione ricca di astio, livore, rabbia. Rabbia verso gli avversari, maltollerati, vissuti come nemici, apostrofati senza il rispetto che forse svelenirebbe un po’ il clima.
Neppure ai cittadini senza ruoli politici va molto meglio in termini di comunicazione. Pensate: Monfalcone è forse l’unico comune in Italia la cui pagina Facebook è inaccessibile ai commenti. Non si può dire nulla. Se poi si vuole intervenire sono disponibili solo le pagine della sindaca dove, naturalmente, non c’è possibilità di dissenso, si può solo applaudire o, se si è intonati, cantare l’inno ad Anna che qualche solerte fan ha composto, senza pensare che l’agiografia potesse sprofondare nel ridicolo. La campagna elettorale di chi guida il comune è stata la prosecuzione del modo disgraziato con cui la città viene amministrata: un comizio continuo, un profluvio di parole dove non solo non è ammesso il contraddittorio ma nemmeno la più piccola delle domande.
Ora ci sarebbe da chiedersi: chi alimenta una visione di sé al centro di tutto, un culto della personalità che non teme il ridicolo dell’inno celebrativo, chi apostrofa da nemici almeno metà dei cittadini monfalconesi, chi salta i confronti perché è convinta di avere (lei e solo lei) ragione, può rappresentare l’identikit della persona a cui dare le redini del governo della città, nel nome dell’interesse generale?
Questi anni sono stati difficili per la tenuta democratica di questa città: non c’è mai stato nella storia di Monfalcone un sindaco che, incapace di dialogare con gli altri, abbia risposto solo con accuse e querele (minacciate o agite). Ed a nostra memoria non era mai successo prima che una amministrazione si spingesse a chiedere la rimozione di un musicista da un’orchestra o che provasse ad imporre per iscritto alle associazioni di impegnarsi a non criticare pubblicamente l’amministrazione per poter ottenere dei contributi. Ciascuno sarà chiamato, nei prossimi giorni, a domandarsi che clima queste azioni possano aver creato in città rispetto al diritto di dissenso. Chi vi scrive pensa che questi comportamenti siano politicamente gravi e non dovrebbero trovare casa in una buona e democratica amministrazione della cosa pubblica.
Noi crediamo, invece, che compito del comune sia favorire la discussione delle idee, la realizzazione di progetti e iniziative, senza che questi siano indirizzati politicamente. Crediamo che il comune debba promuovere la crescita culturale e sociale dell’intera comunità e non essere lo strumento di potere di chi, momentaneamente, sta al governo.
Avete davanti due visioni e due idee di città, di comunità, di relazione con le persone, di amministrazione della cosa pubblica, ed anche due stili profondamente diversi di essere SindacA.