Vi ricordate la Cisint barricadera con Fincantieri? “Batteremo i pugni sul tavolo!”, “Basta appalti!”, “Lavoro per i nostri giovani!” che pose, che vigore. Risultati? Niente di niente. Anzi, a qualche anno da quelle minacciose esibizioni il Municipio è diventato un docile cagnolino, buono, tranquillo, sempre attento a non disturbare i vertici dell’azienda.
Eppure negli anni il ricorso agli appalti e subappalti non si è interrotto, anzi. I posti di lavoro “diretti” di Fincantieri non sono aumentati e per i giovani monfalconesi sono rimaste solo le briciole. In compenso l’amministratore delegato, in questi anni, ha duramente criticato le nuove generazioni, accusandole di aver “perso la voglia di lavorare” mentre l’azienda continua incessantemente ad importare manodopera a costo ridotto, talvolta ridottissimo.
Il problema non è solo lo sfruttamento economico, ma anche la sicurezza dei lavoratori. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a nuovi incidenti sul lavoro, alcuni particolarmente seri, che hanno portato alla pronta mobilitazione delle organizzazioni sindacali. Che continuino ad accadere, ci sembra inaccettabile. Una azienda che vuole competere nel mercato internazionale, che si misura con l’innovazione tecnologica, deve assicurare la massima sicurezza a tutti i lavoratori che operano nello stabilimento, sia a quelli diretti, sia a quelli dell’indotto e proprio su questi ultimi, quelli più sfruttati, va messa la massima attenzione. Anche su questo tema, chi amministra la città ha perso la verve degli inizi ed evita di disturbare il manovratore.
E che dire ancora dei problemi della mancanza di docce e spogliatoi per chi, da fuori, viene a lavorare nella fabbrica di Panzano? L’unica risposta arrivata dal Municipio è una bella multa per chi osi entrare in un locale pubblico con la tuta da lavoro o si permetta di mangiare un panino all’aperto.
Poi per quanto riguarda le ricadute sociali complessive della grande fabbrica, se c’è una cosa che è del tutto assente nella nostra città è un dibattito serio sulla responsabilità sociale dell’impresa. Nulla sull’occupazione, nulla su ambiente e urbanistica, nulla sul piano sociale, mentre, considerando come la rilevante immigrazione segni profondamente la nostra città, ci sarebbe bisogno di tante risorse e di un attivo e concreto intervento da parte della grande azienda.
Poche le cose che Fincantieri ha dato alla città negli ultimi anni: un asilo in mezzo al traffico e la disponibilità di alcuni locali per le vaccinazioni anti – Covid, quest’ultima concretizzata quando ormai il grosso della campagna vaccinale era già stato portato a termine. Poche cose, insomma, di fronte a quanto l’azienda impatta sulla città. Allo stesso tempo il comune, chiunque lo governi, si deve sobbarcare e gestire tutti gli effetti della presenza di Fincantieri.
Bisogna cambiare radicalmente rispetto a questi cinque anni di inutili proclami e di nessuna sostanza, ma anche rispetto agli anni delle amministrazioni precedenti. Con Fincantieri va aperta una fase nuova, una discussione seria e serrata, che porti a un rapporto nuovo tra città e azienda. Non è più sufficiente discutere solo ed esclusivamente con l’amministratore delegato. Fincantieri appartiene, in gran parte, al Ministero dell’economia, è il governo che deva dare a Monfalcone risposte serie ed efficaci e risorse per gestire una situazione del tutto unica. A Monfalcone si gioca una parte del futuro del nostro Paese: la capacità di mantenere un polo produttivo tra i più competitivi al mondo entro le direttive della riconversione ecologica, dei diritti del lavoro, di un impatto virtuoso con il territorio. Si gioca la capacità di gestire al meglio l’immigrazione, promuovendo un percorso di integrazione di nuove persone, famiglie, di nuovi italiani che sapranno arricchire con il loro lavoro e la loro storia il nostro territorio. Una sfida immane che riguarda tutti.
Uno dei primi atti che intendo fare, se sarò eletta sindaca, sarà quello di parlare con il Governo e di portare le istanze di Monfalcone a chi ha la proprietà e la responsabilità di Fincantieri. Dovremo costruire, assieme a tutti i soggetti coinvolti, un nuovo progetto per le città che sappia coniugare la presenza di una grande industria con un ambiente sano, un lavoro giusto e sicuro, un progresso sociale per tutti. Non bastano più gli slogan, le piccole concessioni, va ricostruito completamente il rapporto tra Monfalcone e Fincantieri, perché Monfalcone non può essere il giardino di casa dell’azienda.
In questi anni molte mostre sono state dedicati al lavoro in Fincantieri, a ciò che in quei cantieri è stato costruito dalle abili mani dei nostri lavoratori. Sono pezzi di storia importanti e che vanno giustamente ricordati. Ma il ricordo non può essere parziale e selettivo. Accanto a ciò che si costruiva nella grande fabbrica l’amministrazione comunale si è dimenticata di ricordare i lavoratori, gli operai e le loro famiglie. Intorno a Fincantieri c’è stato un mondo di fatica e sacrifici, di lotte per un lavoro migliore, giusto e senza sfruttamento, tra gli operai di Fincantieri è nata la Resistenza della nostra provincia, si è costruito un importante tessuto di associazionismo culturale e sportivo. Anche questa è storia, la storia migliore della nostra città e non va dimenticata tra un ricevimento e un’inaugurazione con qualche magnate e qualche dirigente.
Monfalcone merita una realtà industriale migliore che può svilupparsi e progredire solo assieme il territorio che la ospita. Questo farò una volta eletta, non chiacchiere e sceneggiate.